
Max Monno: chitarre, arrangiamenti
Francesca Leone: voce
Fabrizio Bosso: tromba e flicorno
Pippo Lombardo: piano e tastiere[
Marco Giuliani: voce e cori
Gianluca Fraccalvieri: basso elettrico
Fabio delle Foglie: batteria
Francesco Lomangino: flauto
Enzo Falco: percussioni
Upa Neguinho (Lobo, Guarnieri)
Casa Forte (Lobo)
Cinnamon and Clove (Mandel, Bergman)
O Pato (Silva, Teixeira)
Gente (Valle, Gilbert)
Ho-Ba-La-La (Gilberto)
Roda (Gil)
One Note Samba (Jobim)
Groovy Samba (Mendes)
It’s Fever (Monno)
The Fool on the Hill (Lennon, McCartney)
Going Out of my Head (Randazzo, Weinstein)
Lapinha (Pinheiro, Powell)
Berimbau (Powell, de Moraes)
Mas Que Nada (Ben)
Ascoltalo!
Note di Copertina
al disco scritte da
SERGIO MENDES!

First of all, I must say I was very touched with the tribute to my “Brasil 66” years, wich is a part of my work that I am very proud of. Max was able to put in his version of those songs a very nice, personal touch while keeping the spirit of the original work alive. I hope everyone will enjoy this lovely CD as much as I did. Thank you Max!
Innanzitutto ammetto di essere stato toccato da questo tributo agli anni di Brasil 66, una parte del mio lavoro di cui sono molto orgoglioso. Max è stato capace di lasciare nelle sue versioni di quelle canzoni un tocco bellissimo e personale, rispettando lo spirito originale del mio lavoro. Spero che tutti possano apprezzare questo bel CD come ho fatto io.
Grazie Max!
SERGIO MENDES
Recensioni

«Brasil 2015» è il nuovo disco di Max Monno (Fo(u)r Edition), dedicato a Sergio Mendes.
Ne parliamo con lui.
Max, tanta passione e un’evocazione filologica, anche nella copertina, di «Herp Albert presents Sergio Mendes & Brasil ‘66». Come nasce questa idea?
I miei lavori discografici nascono posteriori ai live. In genere non penso di realizzare un cd, ma penso di fare dei concerti: avevo quindi preparato una serie di arrangiamenti da portare in giro, e quando questa cosa ha preso una
forma che mi piaceva, è nata, successivamente, l’idea di «fermarla in una fotografia». Quando prepari un progetto cerchi un’idea, un comun denominatore perché il concerto non sia una presentazione anonima di brani più o
meno conosciuti, e il Brasile di Sergio Mendes mi era sembrata una buona idea, coinvolgente prima di tutto per me che avevo conosciuto la musica brasiliana non dai suoi autori colti, Jobim, Elis Regina, João Gilberto, Vinicius de
Moraes, Baden Powell, ma da un nastro C90 su cui era registrato Mendes con i suoi Brasil ’66.
Ad eccezione di Groovy Samba, i brani in scaletta non sono firmati da Sergio Mendes, ma sono canzoni che fanno parte della storia della musica popolare brasiliana. Qual è il valore aggiunto di Mendes?
Non so se ci sia un valore aggiunto. Da quello che so molti suoi conterranei lo accusano anzi di avere commercializzato una musica che era frutto di un movimento intellettuale fatto da intellettuali, poeti, uomini di cultura. Del resto è facile trascendere e passare da Pais Tropical al trenino di capodanno! Ma proprio questo aspetto forse, a ben pensarci, può essere il valore aggiunto che cerchiamo. La musica brasiliana deve a Sergio Mendes la sua diffusione nel mondo anche non intellettuale. Le radici della bossa nova sono popolari, il samba è popolare, lo choro è popolare: Mendes restituisce la bossa nova al popolo, e al popolo consegna per sempre le bellissime canzoni di quella cerchia di intellettuali che avevano dato il via a tutto. Certo il rischio, dietro l’angolo, è quello di esagerare, e di banalizzare tutto trasformando la bossa nova in un semplice ritmo invece che in una vera cultura, e fare musichetta da ascensore o da festicciola. Confesso comunque che nel mio ascensore preferirei sempre e comunque ascoltare un brano dei Beatles riarrangiato da Mendes che della musica house!
Hai ricevuto anche il placet pubblico di Sergio Mendes.
Non sono una persona vanagloriosa né particolarmente arrivista (lo dico nel senso buono di una persona che vuole arrivare, cosa che in sé non è negativa), per cui non ho cercato da subito il contatto con Mendes, tant’è che quando si è concretizzata questa possibilità ho corso il rischio di non riuscire a stampare il cd in tempo per ricevere le sue parole da scrivere in copertina. Poi però mi sono detto: perché non fargli ascoltare un lavoro a lui dedicato e ispirato? Ecco la ricerca – non facile – del contatto. Approfitto per ringraziare il suo produttore alla Okeh Records, Wulf Muller, persona gentilissima e disponibilissima, che si è interfacciata con me con una semplicità a me incomprensibile, abituato come sono alle mancate risposte degli interlocutori discografici di casa nostra. Ho avuto – confesso – un po’ paura a farglielo ascoltare, ma ho pensato che fosse un atto dovuto. Mi dicevo: «Adesso mi risponde dicendomi: come ti permetti?». Entrare in una cultura che non è tua è sempre difficile e pericoloso, ma scoprire di essere riuscito per lo meno a non fare inorridire chi in quella cultura è a pieno titolo tra i più grandi esponenti, mi ha di fatto reso felice.
Secondo quale criterio hai scelto i brani in scaletta?
L’affetto personale e un po’ di «occhio clinico» da ascoltatore. Ho puntato la mia attenzione sulla prima parte della sua carriera, quella che parte come jazzista negli anni brasiliani e arriva poi in Nord America con i Brasil ‘66. Ci sono dei classici che non possono mancare, altri meno conosciuti che meritavano di essere recuperati; un riarrangiamento di un brano dei Beatles che rappresenta una delle facce di Mendes di quegli anni; qualche brano strumentale per omaggiare il periodo brasiliano che lo vide incidere un bellissimo lp con Cannonball Adderley; e in ultimo un mio inedito, scritto con riverenza, dato l’accostamento con cotanti capolavori, con l’idea di riproporre il sound di quegli anni.
Qual è stato l’aspetto più difficile di questo disco?
Direi tenere in equilibrio l’omaggio (Mendes è un interprete, quindi l’omaggio non poteva non passare attraverso la riproposizioni di alcuni aspetti tipici dei suoi arrangiamenti, del modo in cui gli strumenti suonano, come ad esempio certi fill o certi stop di batteria, o certe armonizzazioni vocali) e il tocco personale da musicista riverente ma non servile. Il rischio, in epoca di cover band, era forte e mi ha fatto tremare, ma spero di essere riuscito nell’intento.
In un momento in cui buona parte dei jazzisti cerca di «andare avanti», tu fai un passo indietro e suoni la bossa nova. Ti va di andare controcorrente o c’è dell’altro?
Ci sono due aspetti da considerare. Il primo è molto personale: non so se sono un jazzista in senso stretto! Il mio percorso musicale è molto variegato, e molte sono le componenti che sento attive dentro di me. Per cui non sono molto “bravo” a sapere cosa un «bravo jazzista» dovrebbe fare o non fare. Come dicevo prima, io scopro cose e quelle cose mi entusiasmano, le integro in me, diventa naturale per me sentirle e avere voglia di esprimerle. Magari mi viene ancora naturale, una sera qualunque, prendere la mia Fender Stratocaster e suonare un rock’n’roll di Chuck Berry. Lo so che questo non è ben visto in questo periodo, in questo momento in cui il jazz è aggredito da più parti nei suoi spazi vitali. Ma questo sono io, un melting pot di sentori e contaminazioni. Però, mentre da un lato non so se sono jazzista puro, so che mi sento tale appieno, anche nel senso della libertà musicale: libertà anche di andare in una direzione a prescindere dalle mode del momento. Ecco quindi, conseguente, il secondo aspetto: credo poco nelle direzioni musicali prese per scelta preventiva, nelle «correnti» giuste e nelle controcorrenti. Non penso che la concatenazione giusta sia pianificazione della direzione – strategia – musica. Per me un musicista sincero suona e va in una direzione per una urgenza, magari anche condizionata dagli eventi sociali, ma trattasi di urgenza, voglia di suonare, esprimere quello che sente. Io non so se sono un jazzista, non so se ho fatto un buon disco, non so nemmeno se so suonare bene la chitarra, mi limito a fare ciò che sento, che mi piace, che mi coinvolge.
Parliamo anche dei tuoi sodali. Avevi già programmato questo gruppo, oppure qualcuno è salito sul carro strada facendo?
Francesca Leone alla voce e Pippo Lombardo al piano, sono i due rappresentanti secondo me più autorevoli della bossa nova dalle nostre parti; Marco Giuliani alla voce, supporto vocale maschile; Gianluca Fraccalvieri e Fabio delle Foglie, sezione ritmica precisa e affidabile, affiatata: questi erano i componenti del live. Ho aggiunto Enzo Falco alle percussioni e il flauto di Francesco Lomangino. Poi, l’idea di coinvolgere lo splendido e generoso Fabrizio Bosso, che mi ha regalato la sua partecipazione, impreziosendo tre brani con la sua presenza elegante e straripante. Diciamo che più che salire sul carro, è stato afferrato per il bavero in corsa!
Tu non sei un musicista freneticamente prolifico: «Brasil 2015» è il tuo secondo disco da leader e arriva a distanza di cinque anni da «Treni a vapore». E’ una scelta o una causalità?
Fare un disco deve essere un punto d’arrivo; da questo punto di vista credo che bisogna farlo quando hai qualcosa da dire. Ci sono persone che parlano di più e altre che parlano di meno: l’importante è dire cose sincere! Sono lento, lo ammetto. Ma noi musicisti non facciamo solo i musicisti: dobbiamo essere insegnanti, grafici, manager, imprenditori, e il tempo è poco per uno che deve fare da solo tutti questi mestieri! Inoltre oggi realizzare un disco è un’operazione dispendiosa che è tutta sulle spalle dell’artista (questo il pubblico non lo sa, ma le etichette discografiche non producono più economicamente nessuno se non pochi grossi nomi, e anche a ragione, visto che i dischi non si vendono): da questo punto di vista trovare le energie finanziare per realizzare le registrazioni non è sempre facile. Del resto anche il mercato dei live è sempre più esiguo, e chi produce un disco – spesso – non riesce a restituire l’impegno e la partecipazione ai propri musicisti in termini di concerti.
Ora, bisognerà far ascoltare il progetto in giro. Quali sono le strategie che ti sei prefisso in proposito?
Questa è la domanda più difficile e sono impreparato. Se fossi uno che sa cosa fare, forse sarei già in programmazione in qualche rassegna. Invece la verità è che non sono bravo come imprenditore, le strategie commerciali non sono per me, sono abbastanza ingenuo e non ho ancora capito bene che strade seguire. Promuovere il mio lavoro commercialmente proprio non lo so fare. Lo so che non è bello quello che dico, ma è la verità. Sarebbe splendido se in questo settore nascesse la figura manageriale dell’agente di spettacolo per piccoli e medi artisti, una figura imprenditoriale competente con cui completarsi.
Max, chi ti ha condotto verso la via della musica e, in particolare, del jazz?
La musica ha fatto sempre parte della mia vita da quando mio padre decise di regalarsi quella chitarra che da ragazzino aveva sempre sognato e mai avuto: avevo dodici anni e la presi io, imparando a suonarla da autodidatta, con la musica della radio, attraverso le canzoni di quegli anni. Al jazz sono arrivato invece da adulto, grazie a Guido Di Leone, chitarrista jazz di spicco della nostra terra ed esperto didatta: in qualche modo, di quello che ho fatto, nel bene e nel male, è responsabile anche lui. Siamo coetanei, ma a me piace chiamarlo Maestro, tutti dobbiamo avere un maestro! A pensarci bene, quel famoso nastro C90 con le registrazioni di Mendes era suo: il cerchio si chiude!
Chi è il tuo musicista di riferimento?
E come potrei dirtelo, se sono così ignorante che ogni giorno ne scopro uno? Posso dirti che Barney Kessel è per me un faro nel mondo della chitarra. Spesso si parla di Charlie Christian, Django Reinhardt, Wes Montgomery, George Benson, Pat Metheny e sono dei grandi: ma io sento molto vicino a me questo fantastico uomo che vedeva la chitarra come una piccola orchestra, con i suoi soli pieni di accordi, di linee incredibilmente melodiche: un chitarrista che in trio sembra abbia l’accompagnamento di un pianoforte.
Una persona che ha influenzato, positivamente o negativamente, la tua vita musicale.
Ci sono state tante persone, tanti incontri. Tanti avrei voluti farne. Ma l’ascolto di I’ve Grown Accustomed To Her Face suonata da Wes Montgomery nel disco «Full House», quando avevo sedici anni, lo considero un segnale del mio futuro amore per il jazz. Rimasi folgorato e studiai quell’armonizzazione a orecchio, anche se poi mi separai nuovamente dal jazz per molti anni ancora. Faccio finta che quel giorno io abbia incontrato Wes. Poi, ho già citato Guido Di Leone. Un’altra persona importante, che voglio ringraziare, è Massimo Manzi: ho realizzato il mio primo disco solista perché lui mi ha provocato a farlo, coinvolgendo per me anche Massimo Moriconi: senza le sue provocazioni forse sarei rimasto fermo a casa mia.
Quali sono i tuoi prossimi impegni e progetti?
Vedremo nei prossimi cinque anni cosa succederà! Ci sono cose che si muovono, come una rilettura del songbook di Tom Waits, o come un quartetto jazz con pianoforte con il quale finalmente posso suonare solo strumentali in un percorso ideale che mi sta portando, attraverso gli anni, a passare dalla forma canzone al jazz strumentale: questo potrebbe essere il mio prossimo lavoro, in aria di West Coast. Ma come ho detto, fare un disco è un’operazione difficile e preziosa, da realizzare con calma. Per questo per il momento, mentre faccio crescere in questo quartetto questo nuovo aspetto della mia musicalità (che devo dire mi sta già dando grandi soddisfazioni) ‚vorrei dedicarmi a portare un po’ in giro, se posso, il mio «Brasil 2015».
Alceste Ayroldi (per “Musica Jazz”).


Guitarist Max Monno pays tribute to the Sergio Mendes sound of the 60s – in case you couldn’t guess from the title and cover!
Yet the music here isn’t just a rehash of Brasil 66 – and instead showcases on all the great styles that Mendes allowed with his experiments at the time – that freeing of bossa rhythms from their simpler constraints, the way that the voice was really unlocked in Brazilian music – to a mode that would later influence so many other global singers – and even the reworking of jazz instrumentation through strong interplay between rhythm and melody.
The group features wonderful lead vocals from Francesca Leone – a singer who would really make Sergio proud – and instrumentation includes guest trumpet from Fabrizio Bosso, plus flute, piano, guitar, and lots of percussion.
Titles include “Upa Neguinho”, “Casa Forte”, “Mas Que Nada”, “Lapinha”, “Going Out Of My Head”, “Groovy Samba”, “Roda”, “O Pato”, “Gente”, and “Ho Ba La La”.

A distanza di cinque anni dal suo primo album, Treni a Vapore, il chitarrista barese Max Monno torna con un nuovo lavoro, Brasil 2015, il cui nome rivelatore fa riferimento ai classici della bossa nova che Sérgio Mendes ha contribuito a rendere immortali. Già nel suo primo progetto, nel quale si rivisitavano in chiave jazz alcuni brani di musica pop italiana, il chitarrista si segnalava per gusto, sensibilità e cura dedicata agli arrangiamenti. Questa volta, Monno propone una raccolta di brani tratti dal classico repertorio di bossa nova, ai quali ne affianca uno originale di sua composizione.
A distanza di decenni da quell’epoca d’oro, si rimane sorpresi di quanto il genere sia rimasto attuale, e di quanto Monno sia riuscito a catturarne integro lo spirito. I pregi che avevano caratterizzato Treni a Vapore continuano poi a vivere in Brasil 2015, e ancora una volta è subito evidente la grande attenzione prestata agli arrangiamenti, ma soprattutto il grande feeling che Monno è riuscito a infondere. Il tocco e il gusto personale del chitarrista barese possono essere percepiti per tutto il lavoro, che sorprende per il coinvolgimento e il trasporto che è in grado di comunicare all’ascoltatore. In questo viaggio musicale dal tipico sapore tropicale, lo accompagnano alcuni interpreti di grande spessore che hanno dedicato al genere una parte rilevante della propria carriera.
Francesca Leone è certo una voce ideale per un’occasione come questa: non a caso è da poco uscita con Querida (altro pregevolissimo lavoro di bossa nova, sempre per Fo(u)r). La cantante riesce ovunque con naturalezza, e a seconda di quanto richiesto dal brano, a colorare le note di brio oppure di una lieve malinconia. Ad affiancarla c’è il timbro calmo e deciso di Marco Giuliani, mentre al piano e alle tastiere troviamo il tocco delicato e sognante di Pippo Lombardo. A completare il quadro, il flauto del brillante Francesco Lomangino.
La rodatissima sezione ritmica è composta da Gianluca Fraccalvieri al basso semiacustico e da Fabio delle Foglie alla batteria; a loro si aggiunge il percussionista Enzo Falco. L’obiettivo di garantire groove e ritmo è certo raggiunto anche a queste latitudini.
Ad impreziosire ulteriormente questo lavoro di incredibile solidità e trasporto è la presenza di Fabrizio Bosso, uno dei più grandi trombettisti italiani, la cui sola presenza varrebbe a motivare l’ascoltatore. Si rimane stupiti da una raffica di note o si viene trascinati via dalle altre.
Il repertorio presentato in Brasil 2015 trae ispirazione da quello di album di grande successo come Herb Alpert Presents Sergio Mendes & Brasil ’66 e Fool on the Hill: tutti e due portano la firma di Sérgio Mendes con la formazione dei Brasil ’66, e furono prodotti nella seconda metà degli anni sessanta. Nel lavoro di Max Monno ritroviamo perciò pezzi che qualunque amante del genere potrà facilmente riconoscere, e che portano la firma di Vinícius de Moraes, João Gilberto, Antonio Carlos Jobim, Edu Lobo, Baden Powell e dello stesso Mendes.
A questi si aggiungono altre due cover: la prima è The Fool on the Hill, brano molto poetico dei Beatles, presentato anche in versione bossa da Sérgio Mendes nel 1968, con Gracinha Leporace alla voce. Vi è poi la celebre Going out of my head, nota soprattutto nella versione originale di Little Anthony & the Imperials del 1964, e proposta due anni dopo in versione bossa dallo stesso Mendes.
Pare giusto spendere due parole per It’s Fever, la composizione originale firmata da Max Monno: in apertura la sua chitarra dialoga con la tromba di Fabrizio Bosso, per introdurre subito dopo la voce di Francesca Leone e quindi quella di Marco Giuliani. Il brano cattura appieno l’atmosfera calda e malinconica che spesso caratterizza il genere.
In conclusione, Brasil 2015 non è certo una riproposizione fredda o commerciale di vecchi successi, ma una rielaborazione personalissima, trascinante e al contempo estremamente raffinata, nella quale ogni musicista presente contribuisce a cesellare lo spazio sonoro. Al di là della grande solidità di tutto il lavoro, il risultato è sempre gradevole e potrà piacere tanto agli appassionati di bossa nova quanto all’ascoltatore casuale. L’album è infatti particolarmente adatto per allietare qualsiasi occasione, e l’uditore magari si sorprenderà a muoversi, senza rendersene neppure conto.
Brasil 2015 ha però anche un’altra anima, non meno importante: Monno ha difatti voluto dare uno spazio di rilievo al Mendes “jazzista”, quello che prima di andar via dal Brasile incise un CD con Cannonball Adderley, e che per l’occasione compose il brano originale Groovy Samba, qui riproposto. Vi sono brani strumentali che bilanciano le canzoni di breve durata, e offrono all’ascoltatore delle improvvisazioni jazzistiche di respiro maggiore.
La recensione migliore per questo lavoro viene però dalle parole di Sérgio Mendes: per lui, “Max è riuscito a dare alla sua versione di questi brani un tocco molto bello e personale, pur mantenendo vivo lo spirito del lavoro originale”.
Gianluca Cardellicchio (per Four, press release)